giovedì 2 luglio 2015

Riflessi

Non c'è passante che sappia resistere alla propria immagine riflessa. A Milano - si nota bene in corso Buenos Aires o in corso Vercelli - i viandanti fiancheggiano edifici, bar e negozi torcendo il collo verso le vetrine: per ravvivare il ciuffo, sistemare la camicetta o la postura, sbirciare alle proprie spalle - il rumore dei tacchi, il vociare di un gruppo, lo sputo di un uomo. 

L'effetto visivo è simile al rapido passaggio di un treno: fermo alla banchina della stazione, contemplo la mia silhouette vibrare a pinnacoli sui finestrini dei vagoni, di tanto in tanto risucchiata dalla luce che filtra dove i ganci di trazione si incontrano. Baluginii, riverberi oppure paccottiglie, ninnoli, leccornie.

Ci si specchia, vanità delle vanità, e ci si addentra nelle cose: gli occhi predano le porcellane, gli oggetti hi-tech, i tessuti, l'antiquariato: si penetra lo spazio, la profondità delle stanze a vista. Una commessa - lei dentro, noi fuori - ci osserva, indugia con lo sguardo sul prospetto che vetrina e vetrofanie concedono alla città. Basta un attimo e la merce esposta sei tu, viandante.

L'Esposizione Universale espone alla vista per definizione, mette in mostra, è una vetrina internazionale. Sul decumano, l'asse portante del sito, si svoltola in linea retta il mondo intero; i paesi partecipanti - padiglioni e delegazioni - si lasciano ammirare e a loro volta ammirano, riflettono gerarchie di potere, di conoscenza, di estetica, misurano la propria forza attrattiva. È un esercizio di osservazione, di vedo-non-vedo, di voyeurismo sì alimentare, ma anche sociale e politico. 

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