martedì 27 novembre 2012

Sentire, ascoltare /76

Spinto da un'intuizione sonora, ho ascoltato la quinta e l'ottava traccia di decine di album musicali. Nella quasi totalità dei casi, le due tracks si sono distinte per ritmo, melodia e timbro.

Anche laddove estro, contingenze e inclinazioni oggettive governano i nostri umori, sovrasta ogni cosa il regno della comunicazione; e la musica asseconda le note del marketing.

lunedì 26 novembre 2012

Sentire, ascoltare /75

La città vive, letteralmente, di macerie: su di esse cresce, si rinnova, si espande. Il fuoco che brucia le capanne in paglia e legno si spegne sotto l'argilla; il vento che abbatte e scoperchia i tetti si placa contro il vetro e il cemento; l'acqua che spazza via pilastri e ponti asciuga sotto il dominio della tecnica. Ad ogni giro di vita, lo spazio urbano si amplia, si sviluppa. 

In questo incedere in avanti, la città compie, però, un percorso vitale che non ha alcun riscontro in natura: non invecchia mai, semmai ringiovanisce. Le foto, i filmati e le illustrazioni d'epoca testimoniano, sempre, senza alcuna eccezione, che le città del passato, messe a confronto con le medesime nel presente, appaiono svilite, smunte dalla senescenza, macchiate dall'età, curvate dagli anni, rallentate da una muscolatura flebile, inconsistente. 
L'uomo, con l'età, invecchia e muore; la città, col tempo, ringiovanisce e vive. 

In questo assunto, e non in altro, risiede la grandezza dell'uomo: che tutto cede, persino la propria vita e i propri anni, affinché la storia da cui proviene, la collettività a cui appartiene, l'invenzione più alta che sia mai riuscito a ideare -la città appunto- restino vivi. 

Quando non è così, una generazione di uomini può decretare, in punto di morte, il proprio fallimento.

domenica 25 novembre 2012

Sentire, ascoltare /74

Tra le pile di una piccola libreria del centro, in una città poco lontana da Milano, ho adocchiato, nel reparto libri usati, due copie de I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. 

La prima era un poco rovinata, con le orecchie -almeno cento pagine- sciupate e curvate all'insù, tanto da pensare fosse rimasta molto tempo in una grande borsa da donna, dove tutti gli oggetti si muovono alla rinfusa e nulla si riesce mai a trovare.

Tra le pagine, sfogliando la copia, si è fatto avanti un fiorellino schiacciato, reciso da non molto -ho dedotto- perché i colori erano ancora vivi. Se quei viaggi di Gulliver non fossero appartenuti a una donna, sarebbe facile immaginare, chino sulla scrivania, con lente d'ingrandimento in mano, un romantico di altri tempi intento ad ammirare la miniatura in copertina. 

La seconda copia, stampata da un'altra casa editrice, era in ottimo stato: la copertina meglio disegnata, l'impaginazione più chiara e spaziosa, il carattere gradevole e insomma avrei preso quella. Ho letto, per scrupolo, la prima pagina di entrambe le copie, e mi sono persuaso a ritenere migliore la traduzione del volume romantico

Il libro, tuttavia, è anche un oggetto estetico: se non dà piacere, tra le mani, perde buona parte del suo fascino. Con tale convinzione ho fatto qualche passo in più, nel reparto libri nuovi. Sotto la Esse, immersi nell'odore della carta fresca di stampa, altri due Viaggi di Gulliver aspettavano di essere acquistati. 

Una copia, di una terza casa editrice, si avvaleva di una traduzione che non reggeva per nulla il confronto con le copie sfogliate in precedenza. La quarta copia, infine, era all'apparenza identica alla prima: casa editrice, collana, copertina e traduttore non mentivano. Tra le prime pagine, però, il curatore informava che la traduzione originale era stata rivista da altri due traduttori. Ho letto così, per la quarta volta, la pagina d'esordio del romanzo: piccole modifiche, come “figlio” per “figliuolo”, hanno incanalato la mia scelta verso la prima copia che avevo valutato. 

Acquistato il mio Viaggio di Gulliver, a casa di un amico, poco dopo, trovai una quinta traduzione dell'ennesima casa editrice; avrei potuto proseguire di libreria in libreria, di biblioteca in biblioteca, di casa in casa, leggendo decine di libri diversi con lo stesso titolo. 

Ad ogni modo, fa riflettere come un microcosmo così tecnico, animato da alcune decine di letterati che si leggono, si ammirano, si detestano e si spiano, possa influenzare, a insaputa dei più, il mondo infinito della lettura e della finzione. È così delicata la nostra esistenza che un dettaglio -una pagina sfogliata- può influenzare le sorti di una passione, di un interesse, di un convincimento.


mercoledì 21 novembre 2012

Sentire, ascoltare /73

Nulla desta stupore quanto la geometria; è in ogni cosa e di fatto non esiste.

Sentire, ascoltare /72

Sul piano della scrivania, con la fronte appoggiata all’avambraccio e gli occhi liberi di ruotare nello spazio basso della stanza, un impiegato esausto -ufficio al decimo piano di un palazzo in ferro e vetro, una sola luce accesa, e vuoto cosmico- seguiva i cavi del pc. Annodati a mezz’aria, i fili si scioglievano in varie direzioni: alcuni lungo lo zoccoletto, altri tra i cassettoni degli hardware, altri ancora verso le prese elettriche avvitate al piano inferiore del tavolo. 

Fronte alta, arrossata dalla pressione d’appoggio, l’impiegato sembrava scoprire che ogni cosa avesse forma cilindrica e arrotondata: il filo delle cuffie, i punti metallici delle pinzatrici, le graffette, le cannucce con inchiostro e le bic che le contengono, i tubi del riscaldamento, le sbarre alle finestre, le lampadine a basso impatto ambientale, le gambe del tavolo e ogni cosa. 

Preso allo gola da un senso di soffocamento, la cravatta allentata, il volto paonazzo e le mascelle ben serrate, l’impiegato sradicava ogni cosa potesse ricordargli la forma dei cavi. Molte furono scaraventate dalla finestra. 

Eliminati gli oggetti cilindrici, l’impiegato, ansimante, in piedi con una mano appoggiata al muro, dopo una breve panoramica visiva, si accorse, attratto dal boccione azzurro dell’acqua, che quanto rimasto aveva forma circolare.

Con rinnovato ardore si scagliò contro tutto quanto di vagamente ellissoidale fosse a portata di mano: le abat-jour, le bottigliette d’acqua, il cestino d’ufficio con le listarelle in plastica, i tappi delle biro, le Saila menta, gli occhiali, le lattine, il portamatite, il centrino della cassettiera, la pallina antistress ed ogni cosa. 

A tal punto, soddisfatto per un istante, la foga anziché abbandonarlo rafforzò la sua ira contro gli oggetti quadrati e rettangolari: monitor, telefoni, cassettiere, cartellette, scatoloni, armadi, scrivanie, fotocopiatrice, risme, tastiere, borse a tracollo. Ogni cosa. 

La stanza d'ufficio al decimo piano del palazzo in ferro e vetro non esisteva più. Ora calmo, con il fiatone, lungo il perimetro di un locale che non colse essere quadrato, appoggiò i gomiti al piano della finestra, per guardare fuori. La porzione di mondo che si poteva scorgere da quella altezza era sola geometria; ogni cosa era geometria; e l'impiegato nulla avrebbe potuto contro tale stato di cose.

domenica 18 novembre 2012

Sentire, ascoltare /71

A notte non ancora inoltrata, poco lontano da un reticolo di pub, circoli e trattorie, al cicalare lungo e confuso degli avventori delle feste si è sostituito il pigolio di alcuni uccelli di città. 

Dapprima il cinguettio pareva un suono appena distinto dal vociare urbano, simile ad un'acuta risata femminile; poco dopo, allontanati i luoghi di ritrovo, il verso dei volatili si stagliava, tra le facciate di alcuni palazzi di primo Novecento, senza equivoci, con insistenza. 

Il canto proveniva da una voliera in ferro, sporgente da un terrazzo ad angolo di un ultimo piano aristocratico; e l'idea che i pennuti potessero abitare la città, con le proprie voci, il solo mattino, quando ancora è buio -appena alzati per un lungo viaggio o non ancora rientrati da un insonne crepuscolo- si è sciolta nell'aria notturna, confusa all'ennesimo artificio che fa delle città luoghi di immaginazione e illusione.

giovedì 15 novembre 2012

Sentire, ascoltare /70

La città, oltre il suo confine, è un luogo senza definizione. Le parole di chi, attraversando la terra stretta tra un cartello di arrivederci e uno di benvenuto, vorrebbe corrispondere un nome allo spazio di campi, arbusti e capannoni isolati lungo stradine sterrate, sono sottomesse al regno urbano. 

Un’ombra lunga, fatta di sagome architettoniche, luci lampeggianti, attutiti sciami d’auto, grigi colori di cielo, si allunga sino alla città successiva, soggiogando i passanti al pensiero dominante della metropoli. 

Oltre il confine della città lo spazio si attraversa e la terra si compatisce. L’impressione è che ogni cosa resista per poco, attenda l’ultimo avviso di sfratto. 
E chi non vede più, alle spalle, il cartello di arrivederci, e non scorge ancora, all’orizzonte, quello di benvenuto, può cogliere, in modo sincero e senza equivoci, la reale condizione dell’uomo di città.

lunedì 12 novembre 2012

Sentire, ascoltare /69

Disagio della modernità è la nostra incapacità di coltivare amicizie. Alcune si sciolgono in conoscenze, altre sopravvivono nella sola memoria, alcune sono così lontane che non si ricordano nemmeno i nomi propri, altre ancora si scollano piano piano, incontro dopo incontro. 

Un tale stato di cose è sintomo di un disagio ancor più grande: la perdita di se stessi e l'affermazione di un'indeterminatezza esistenziale
Si confondono le città, i volti delle ragazze, gli affetti, le parole. 

Ad una via di Milano mi pare di abitare le strade della città in cui vivevo l'anno passato; nel volto della ragazza appena sedutasi sul tram riconosco l'espressione seria di una vecchia relazione; quel modo di dire che mi ha fatto voltare, in un bar del centro, per vedere chi l'avesse pronunciato è simile a un'espressione che ripeteva spesso un compagno di corso, anni addietro. 

Ogni cosa sta assieme, si confonde e in qualche modo sopravvive. Tutto, però, avviene senza che nessun altro sappia, in assenza di parole. 
Resta da chiedersi cosa si debba fare di quest'archeologia del vivente, cosa si debba pensare di luoghi, volti e affetti che irrompono, a distanza di tempo e spazio, nella propria esistenza.

domenica 11 novembre 2012

Sentire, ascoltare /68

Non esistono più le storie di campagna e di città in cui una Rosina o un Bruno invecchiavano nelle trattorie, un Antonio prendeva il treno per fare figli lontano, un Franco leggeva romanzi politici assieme a quelli che un tempo erano stati compagni di scuola, e un Giovanni era per tutti il guascone che si era rovinato dopo il rifiuto d'amore di una Linda. 

La narrativa era queste storie; l'Italia un intreccio di conoscenze che non si scioglieva mai; la vita un racconto plurale circoscritto a piccoli luoghi abitati. Non è più così; e non trovo nessuno, tra i fogli delle librerie, che sappia dirlo per iscritto.

giovedì 8 novembre 2012

Sentire, ascoltare /67

Sulla battigia dei ricordi, io ti penso e tu mi scordi. 
Le mie impronte cancellate da un colpo di spuma; le tue, appena impresse, fresche, sul bagnasciuga.

martedì 6 novembre 2012

Aforismi, neologismi e bestialità /29

Per definire una parola sono necessarie altre parole, ciascuna delle quali è definita da altre parole. Quale che sia la prima parola definita nella storia dell’uomo, esiste più di una probabilità che le parole siano tutte sbagliate.

domenica 4 novembre 2012

Sentire, ascoltare /66

Milano, il paravento.


Nel legno robusto, tra i segni di una levigatura setosa, le donne sedevano con lunghe vesti di raso rosso, l'acquaiolo versava per un cliente, e il vecchio al di là del fiume insegnava i suoni del flauto a un giovane scolaro di Sekigahara.

In quel luogo il paravento a sei ante, dipinto a inchiostro e colori su carta, celava l'intimo di una giovane donna intenta ad avvolgersi di seta, in attesa di dedicarsi ai suoi propri passatempi d'oro e argento su carta. 

Ai lati della campagna giapponese del XVI secolo, venata dal legno appena accennato sotto il dipinto, un piede pallido e una mano sottile facevano capolino oltre le ante. Una bambina, affacciata alla finestra dirimpetto, osservava quel che c'era da vedere e immaginava quel che non si vedeva. 

Nella stanza accanto un pittore sciacquava i pennelli con cura.