domenica 28 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /65

Le conversazioni dei tempi moderni, come un ronzio di fondo che confonde i cervelli delle nuove generazioni, si spingono, sempre più, con sguardi illuminati da una certa luce della ragione, verso un'equazione che pare non abbia alcuna incognita irrisolta: meno lavoro, più tempo. 

Tali matematici erano pochi e ora sono un poco di più. Mi chiedo dove abbiano studiato perché scuole che insegnano il tempo non ne ho frequentate, mentre scuole che inculcano, con insistenza, i significati del lavoro mi hanno imposto di frequentarle da quando ero bambino. 

Ora, per molti, questa prima inedita esperienza del tempo pare suggerire che serva per piangere. E prima di scrollare di dosso ogni consuetudine sociale, di accantonare la vergogna di dire che non lavoro, di accettare un impiego umile, di conoscere la solitudine dei pomeriggi a casa a navigare su tutti gli infojobs esistenti, di imparare a farcela da soli, di accettare quello che si ha, di apprezzare le passeggiate urbane senza meta, prima di tutto questo il nostro tempo sarà passato e una nuova rivoluzione copernicana avrà smentito le equazioni che abbiamo cercato di capire: meno lavoro, più tempo.

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