mercoledì 26 settembre 2012

Sentire, ascoltare /56


La gabbia grafica è uno schema che definisce gli spazi in cui si collocano testi e immagini. I pubblicitari, sulla pagina, curano proporzioni e ordinano elementi per veicolare il messaggio che intendono comunicare: gli ingombri sono disposti in modo che ogni cosa sia chiara ed efficace.

Il piano della città è simile ad una gabbia grafica le cui linee ciascuno tratteggia, nel corso della propria esistenza, per definire sensi personali e connettere conoscenze collettive. Allunghiamo proiezioni su cose: case, bar, incroci, insegne, sale cinematografiche, campi da calcio: e su persone; ingombriamo caselle urbane di continuo.

A differenza dei pubblicitari, però, non conosciamo formato ed estensione del foglio, siamo sprovvisti di obiettivi comunicazionali, ignoriamo il messaggio che veicoliamo attraverso gli spazi urbani. Ogni cosa è ben definibile solo a posteriori, quando il tempo a disposizione per sistemare, cambiare e ordinare i significati è ormai esaurito.

I ricordi sono il metro con cui è possibile capire le dinamiche grafiche che regolano la vita urbana. 
L’edicola in cui si è acquistato il primo album di figurine non è altro. La tettoia sotto cui si è dato il primo bacio non è altro. La via in cui si è fatto un incidente non è altro. Il citofono della prima casa che si ha abitato non è altro. Così per le persone.

Sono luoghi ingombrati una volta per sempre -segnati nello spazio e ancorati all’intimo di chi li ha vissuti. Non è possibile capirlo nell’immediato -nel momento in cui, senza averne coscienza, si allungano le nostre proiezioni.

Nel ricordo -che arriva solo dopo- realizziamo le proporzioni, visualizziamo gli elementi, interpretiamo i segni, percorriamo le linee della gabbia grafica che si sovrappongono al nostro personale piano urbano. A distanza di anni l’edicola delle figurine, la tettoia del bacio, la via dell’incidente, il citofono di casa non sono altro.

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