Economie nomadi.
Lungo le vie dei centri storici italiani, la verticalità degli spazi si apre ai passanti attraverso le dita di venditori ambulanti pachistani e bengalesi. Tra pollice e indici scuri di emigranti asiatici si allungano elastici luminosi che scoccano nel cielo a raggiungere altezze impressionanti.
Seguire con lo sguardo il volo degli elastici è una tentazione a cui pochi possono resistere. L'elastico schizza in alto, ben oltre la visuale di quanti sono per strada, e scende poco a poco, con moto proprio delle foglie che piroettano adagio dai rami verso terra.
Chi osserva il fenomeno, però, non ha interesse a seguire la discesa dell'elastico; piuttosto è intento a trovare un termine solido, naturale e architettonico, per capire quanto effettivamente l'elastico si sia spinto in alto, nella città.
Chi osserva il fenomeno, però, non ha interesse a seguire la discesa dell'elastico; piuttosto è intento a trovare un termine solido, naturale e architettonico, per capire quanto effettivamente l'elastico si sia spinto in alto, nella città.
Ha superato il quinto piano. Si è impigliato tra le fronde di quel sempreverde. Ha quasi raggiunto la guglia del duomo.
L'elastico -e la fionda con cui si innesca il lancio- trascina i passanti ai piani alti dello spazio urbano e impone nuove riflessioni: geometrie e dettagli: cariatidi, omenoni, capitelli, gargolle, doccioni, gronde, tegole.
Altre volte è il panorama umano a destare interesse.
Tra tenda e tapparella, dietro il vetro di una finestra di un sesto piano, si scorge la silhouette di un uomo che osserva i passanti sotto casa; una coppia di anziani -gambe ombreggiate da una ringhiera in ferro e volti nascosti da una fila di fioriere- riposa e prende aria su due sedie in alluminio; una ragazza si stringe tra muro e stendino del proprio verone per fumare una sigaretta -mora e occhi verdi, è intenta a buttar fuori dalla bocca il fumo senza che si infili in casa, sottile e inarrestabile, attraverso spifferi e spiragli che tra le ante semichiuse fischiano col vento.
***
L'elastico non è solo volàno di una riflessione urbana ma anche, e forse più, simbolo di un'economia che mi piacerebbe chiamare nomade.
I venditori ambulanti che fiondano l'elastico in aria sono, perlopiù, bengalesi e pachistani. Ovunque essi si trovino -Roma, Milano, Parigi, Istanbul, Berlino- hanno con sé fionda ed elastico.
Verrebbe da pensare che la merce esiste in un luogo se nel medesimo luogo esistono determinati venditori: la fionda con elastico -senza sollevare la questione del racket- si può acquistare se a venderla ci sono pachistani e bengalesi -non altri.
Non significa che le merci da loro vendute siano ideate e costruite nei rispettivi paesi di origine. Piuttosto indica un'economia strettamente connessa al venditore -lui, non un altro.
Il nomadismo dei venditori ambulanti o la loro espansione, in piccole comunità, su una più ampia porzione di territori, è condizione necessaria e sufficiente perché esista una specifica economia.
Con ciò mi vien da pensare che peculiarità di culture, saperi ed economie non siano legate a luoghi e a persone che identifichiamo coi luoghi, ma sempre più a persone che di alcuni luoghi sono, coscientemente o meno, espressione.
L'economia nomade -la fionda e l'elastico- è tra i più vivi paradigmi della contemporaneità.
Nessun commento:
Posta un commento